Un viso giovane, su 50 anni portati con gioia. Suor Nduka Asika Chukwuemeka Rufina è il quadro dipinto dell’Africa che sorride. Almeno così la descrivono Silvia e Claudia, le segretarie della Caritas Antoniana che un giorno di agosto di un paio d’anni fa l’hanno accolta sulla porta della Caritas sant'Antonio, insieme con la sorella, padovana d’adozione. Suor Rufina è nigeriana e appartiene a una congregazione locale, The Holy Family Sister of the Needy, che ha a cuore gli ultimi degli ultimi e in particolare le bambine e le ragazze in difficoltà, perché è soprattutto donna la parte più povera ed emarginata del mondo.
«Ero a Padova, ma la mia testa era ancora in Nigeria – racconta suor Rufina –. Mi era appena stato affidato un compito difficile che non sapevo come portare a termine. Un privato aveva ceduto alla mia congregazione un edificio incompiuto e quasi inghiottito dalla foresta nel villaggio di Nza Ozubulu (vicino alla città di Nnewi, stato di Anambra, Sud-est della Nigeria), con l’intento di farne una clinica per i poveri. Ce n’è tanto bisogno in quella zona, perché il primo dispensario medico dista 30 chilometri e 600 mila persone sono senza aiuti sanitari».
«Bussa e ti sarà aperto» dice il Vangelo. E suor Rufina è una di quelle che lo prende alla lettera. Si trova a Padova dalla sorella, quando le viene in mente che la prima porta a cui bussare potrebbe essere quella di sant’Antonio. Ed eccoci qui, sulla soglia di Caritas Antoniana, a quell’incontro di sorrisi tra due donne africane e due donne italiane. «Silvia mi fece accomodare e mi spiegò come dovevo fare per chiedere aiuto. Ritornai in Nigeria e mi misi al lavoro».
«Mi sembrò una ragazzina – racconta Silvia –: aveva un candore e una sincerità a cui non siamo abituati. Mi disse con molta semplicità che voleva ristrutturare una clinica di quindici stanze in mezzo alla foresta: al momento la trovai una richiesta esagerata, quasi ingenua. Ma quella piccola suora aveva qualcosa di “oltre”, che non so descrivere». Silvia ne parla al direttore, padre Valentino Maragno, che valuta il progetto interessante ma propone di procedere «con i piedi di piombo», cominciando da una piccola cosa e controllando ogni singolo passaggio. Pochi mesi dopo Caritas Antoniana approva la costruzione del pozzo della nuova clinica. Il risultato è strabiliante: «Iniziarono ad arrivarci resoconti e informazioni dettagliatissime e ben documentate, che neppure i più scafati collaboratori eseguono con tale dovizia». A questo punto si può osare il grande salto: le famose quindici stanze nella foresta.
Nel frattempo suor Rufina si è data da fare: bussando a tante porte è riuscita a raggranellare circa 10 mila euro, ma ne mancano 35 mila per coronare il sogno. «Le inviammo la prima parte del denaro – continua Silvia –. Suor Rufina seguiva ogni nostro consiglio e richiesta con scrupolo, contraddicendo ogni pregiudizio sui “tempi africani”». In pochi mesi la sua clinica color verde mare brillava come un gioiello tra gli alberi della foresta.
«Lavorare con Caritas Antoniana – commenta suor Rufina – è stata una delle più grandi ispirazioni della mia vita. Quell’incontro ha cambiato la mia mente, il mio senso di responsabilità, il mio modo di gestire il denaro e, soprattutto, il mio concetto di carità. Quando ritornai a Padova per ringraziare e salutare, scattai delle foto in Caritas Antoniana e dissi loro che le avrei ingrandite e messe dentro la clinica come ringraziamento. Mi chiesero di non farlo, perché “i nostri benefattori vogliono rimanere anonimi”. E io ho pensato che la vostra solidarietà è davvero la carità di Dio».
La clinica verde speranza
Ora che la clinica è finita, la gente è felice: «La vede non solo come un servizio importante – racconta suor Rufina –, ma anche come una fonte di possibile lavoro». La clinica color verde mare è già una benedizione per una famiglia poverissima, prima ancora di entrare in funzione: «Ho impiegato come giardinieri part-time una coppia con sei figli, lui è un bracciante, lei è una piccola venditrice. I due non hanno casa, due dei loro figli vivono in un’altra famiglia e un altro vorrei portarlo da mia madre al mio villaggio. Mi piace questa famiglia perché è sempre felice, anche se non ha nulla». La maggior parte della popolazione in questa zona non riesce a fare tre pasti al giorno, non ha accesso a servizi igienici e ad acqua salubre da bere. Ciò peggiora la situazione sanitaria della zona, dove è alta la mortalità per malattie endemiche come malaria, tifo, tubercolosi, ma anche per banali infezioni. La clinica sarà una benedizione per l’intera popolazione, ma in modo particolare per le donne in gravidanza e i bambini più piccoli: le categorie più a rischio.
Eppure tanto dolore e tanta povertà non sono l’ultima parola, qui vive un «oltre» che noi abbiamo dimenticato e che suor Rufina, con semplicità, ci rammenta: «Non c’è un modo africano o occidentale di aiutare gli altri. Tutto dipende dalla sincerità, dalla capacità di imparare gli uni dagli altri, sapendo che ciascuno ha la propria intelligenza, la propria tecnica, le proprie risorse. Questo ospedale ne è un esempio. Molto abbiamo ancora da imparare dagli europei, ma anche gli europei possono imparare dagli africani a ritornare al Vangelo, non solo spiritualmente, ma anche economicamente. Entrambi, tuttavia, abbiamo bisogno di condividere risorse ed esperienze».
Suor Rufina sta provvedendo ora a trovare i mobili e l’attrezzatura minima per far partire l’ospedale. Le autorità locali daranno un medico, un’infermiera, un tecnico di laboratorio, personale di servizio, ma anche le suore faranno la loro parte e non solo dal punto di vista della gestione: «Io sono un’infermiera e un’ostetrica – spiega suor Rufina –. Sono sempre stata, anche prima di farmi suora, dalla parte delle giovani donne incinte, sole e in difficoltà. Stare qui tra i più poveri è un compimento. Mi dà la percezione di condividere il mistero racchiuso nella Trinità, l’amore misericordioso di Cristo, la gioia di ridare vita a ciò che sembra non averne. La speranza per me è qualcosa che si tocca: se hai fiducia, troverai ciò che cerchi».
Alla richiesta di inviare un saluto ai lettori e amici del «Messaggero di sant’Antonio» che hanno sostenuto il progetto, suor Rufina risponde con il suo modo semplice e intenso: «Cari benefattori, vi ringrazio di cuore. Possa Dio benedirvi e ricompensarvi. Il vostro modo di fare carità è molto spirituale e io so che per questo Dio vi porterà in paradiso, luogo in cui noi cristiani riponiamo la nostra speranza. Mi piacerebbe un giorno incontrare alcuni di voi faccia a faccia».
di Giulia Cananzi, tratto dal "Messaggero di sant'Antonio", marzo 2015.